Portiamo avanti una tradizione lunga più di 80 anni

Il 6 Gennaio 1933, con atto del notaio Emilio Canali, venne costituita la Società Particolare Civile “Casello Sociale del Fornacione di Felina” con 84 soci, che conferivano 970 quintali di latte e con 70 suini.
La latteria venne costruita su un appezzamento di terreno acquistato dal parroco don Anastasio Corsi e lavorava soltanto dal 1 marzo all’11 novembre, giorno di San Martino e data ufficiale della fine dell’annata agraria.

A promuovere la nascita della Fornacione fu Angelo Pignedoli, che aveva un fondo a Felina, a La Ca’, e un altro in pianura. Prestò i soldi alla latteria i cui soci, in prevalenza, avevano poco latte, ad eccezione di alcuni grossi fondi: il Beneficio parrocchiale, Roncadelli, La Ca’ e Le Tegge.
Qualche contadino, dalla zona del Monte Fasola, portava al casello un litro e mezzo di latte sia alla sera sia al mattino; a quell’epoca, chi lavorava la terra viveva andando a giornata dall’alba al tramonto soltanto per mangiare e mantenere la famiglia, di solito molto numerosa.
“La latteria – rievoca il quasi centenario Walter Zanelli,nato a Felina il 12 settembre 1914 –  è stata costruita dalla ditta Carubbi : per risparmiare, c’era un solo muratore, il titolare , Giuseppe Carubbi, detto Gigiùn, aiutato da alcuni ragazzi che gli facevano da ‘bocia’, cioè da manovali a giornata. Io gli ho portato per anni il latte e le fascine da ardere sotto la caldera.
Fino alla seconda guerra mondiale si facevano due forme di Parmigiano Reggiano al giorno.”
A Ramusana, a un tiro di schioppo dal Fornacione, nella casa di Matteo Zanelli si tenevano le prime riunioni per arrivare alla costruzione della latteria. “Preparavamo la legna dietro il Monte Fasola – ricorda Matteo – e la portavamo direttamente al casello con le mucche; la quantità variava in base al latte che ogni famiglia conferiva. Allora per fare una forma di formaggio ci voleva il latte di almeno 60 vacche”.
Franco Zanelli è del 1923 e parla volentieri di quando, da bambino (poichè non c’era posto a Ramusana dove abitavano i suoi genitori Egidio e Rosina) viveva a Le Tegge con i nonni materni Lorenzo Braglia e Teresa Palladini e a soli 9 anni andava a pascolare le pecore con lo zio Paolo, che diventerà presidente della Fornacione a fine anni Quaranta-inizio Cinquanta.
“Mio padre e altri suoi fratelli – racconta Franco – hanno cavato i sassi per la costruzione della latteria: era d’inverno e li trasportavano giù al Fornacione con le slitte. Mio padre faceva il manovale: vicino al casello hanno scavato un fosso con punta e mazza. Noi bambini andavamo a fare le fascine nei boschi per la latteria. I miei genitori avevano solamente tre mucche e io andavo al casello con 4-5 litri di latte.
Anche se si era poveri, erano bei tempi: andavamo a giocare a nascondino nella Fornace”.
La storia della latteria felinese viaggia anche sul filo della memoria di Sergio Bettuzzi, nato il 12 marzo 1925. “Quando Enrico Bottazzi, il primo casaro della Fornacione, faceva la forma servendosi delle due caldere che c’erano allora – spiega – e noi bambini passavamo dal Fornacione per andare a scuola a Magonfia, ci fermava e ci faceva buttare acqua sul fuoco allorchè la temperatura arrivava a 39-40 gradi”.
Il primo nucleo di quella che diventerà una delle più grandi e produttive aziende del settore lattiero-caseario della provincia di Reggio Emilia venne trasformato in “Latteria Sociale del Fornacione, Società Coperativa a responsabilità limitata” il 31 agosto 1941, con atto del notaio Cersare Bossi.

Oggi come allora

La storia del Fornacione è in realtà una storia di persone, che hanno sempre creduto nella latteria sociale, l’hanno difesa e l’hanno sempre sviluppata con lungimiranza.

Oggi Il Fornacione è una delle realtà economiche più importanti della montagna reggiana, e tra i caseifici più significativi della provincia, ma pur nelle continue trasformazioni e innovazioni ha saputo tenere uno stretto collegamento con la sua storia, a cominciare dalla sede, che pur con recenti lavori di riqualificazione, ha mantenuto lo stesso impianto del 1933, presentandosi con un edificio in pietra molto bello dove ha anche sede l’accogliente spaccio di vendita.

Il Caseificio prende il nome dall’antica Fornace di Felina

La fornace e la latteria del Fornacione svettano nel paesaggio di Felina e della montagna, sono il simbolo del lavoro dell’uomo.
La fornace di Felina ha rappresentato fin dall’inizio del secolo scorso il luogo e il cuore dell’attività lavorativa e produttiva di Felina e dell’intero circondario.

Il lavoro svolto nella latteria è direttamente collegato al lavoro della terra, del nostro territorio e dei nostri allevamenti; una civiltà ed economia contadina vera, che mette al centro il lavoro e l’azione dell’uomo, come patrimonio per il bene collettivo.

La fornace e la latteria del Fornacione svettano nel paesaggio di
Felina e della montagna, sono il simbolo del lavoro dell’uomo.

Dopo la guerra

Quelli del secondo conflitto mondiale furono tempi difficilissimi anche per la Fornacione perchè gli uomini più validi erano in guerra, diversi capifamiglia erano stati deportati in Germania, i campi non venivano più coltivati in modo adeguato e dal  1943 al ’45 erano frequenti i prelievi di formaggio da parte dei tedeschi.

Finita la guerra, la ripresa economica fu lenta, ma la voglia di fare, di ripartire, di crescere, di avere un futuro migliore era grande. Così, mentre il bilancio del 1948 segnava un dividendo complessivo 781.108 lire, quello del 1956 era di 12.111.453 lire e nel frattempo, nel 1952, il Consiglio di Amministrazione aveva deliberato l’assunzione di un mutuo quinquennale di 3.000.000 di lire per la ristrutturazione del caseificio, di cui 1.000.000 per l’ampliamento del fabbricato e 2.000.000 per l’acquisto della caldaia a vapore e dei relativi attrezzi.

La latteria del Fornacione stava diventando sempre più il cuore pulsante di Felina e un centro di aggregazione non solo per i produttori di latte ma anche per la gioventù.

“Nel 1960 – informa Ugo Ferrari, diventato cassiere nel 1973- ho fatto il garzone nella latteria; si portava su il mangiare per i maiali in spalla, lo si mescolava con la pala e si riportava giù con il secchio.

I ragazzi e le ragazze si incontravano al caseificio e andavano poi a casa insieme: le ragazze si facevano belle per l’occasione. Dove adesso c’è il magazzino, a quel tempo c’era un orto. Il nostro caseificio ha sempre guardato avanti senza fare salti nel buio e cercando la massima condivisione dei soci, magari dopo discussioni infinite: alla fine degli anni Sessanta, ad esempio, è stata costruita una nuova porcilaia, costata 14 milioni di lire e pagata in un solo anno, dopo aver valutato, rinviato, votato e rivotato quell’intervento per tre anni“.

“Sono entrato nel Consiglio di amministrazione della Fornacione – dice Nardo Ferrarini – nel 1977, dopo aver fatto per un paio d’anni il Revisore dei Conti, un compito che mi si addiceva, perchè preferivo essere più operativo e perchè sono sempre stato portato ad esprimere direttamente la mia opinione.

Quel primo anno è stato difficile, perchè la lavorazione del latte era ai minimi storici e il prezzo del formaggio non era adeguato, ma eravamo amministratori giovani, pieni di entusiasmo e di voglia di fare”.

Nardo Ferrarini, è stato il vice di Dulio Eusebio Ferrarini dal 1978 al 1995 e da quella data a tutt’oggi è il Presidente della Fornacione.